15 dicembre 2008

LA POESIA: «Il poeta»

Vito Riviello, ritratto da Rocco Grieco


 

Al bar c’è un tipo strano: è un poeta
Non è vecchio, peccato che l’abbiano
già tumulato in biblioteca

Roma, 14 settembre 2005 

© Fausto Nicolini



Tratta da «Quelle che smuovono...», 
Campanotto Editore (2007)

 



12 dicembre 2008

«La tragedia di re Lear», regia di Marco Sciaccaluga

Eros Pagni

Roma, Teatro Eliseo, novembre 2008

UN LEAR DI RARA DOLCEZZA SOTTO LA TENDA DI GENGIS KHAN

Per i nostalgici di un certo tipo di teatro quasi scomparso è commovente realizzare che, al giorno d’oggi, esistano ancora registi sostenitori della quarta parete: quel muro immaginario posto tra palco e platea. Fu abbattuto, ormai, molti anni fa con l’avvento del varietà, per esigenze di relazioni tra artisti e avventori. Era però, quello, un genere teatrale assai differente, e non aveva nulla a che vedere con il teatro classico: gli attori del varietà avevano bisogno di confrontarsi direttamente con gli spettatori e gli spettatori con gli attori. Non a caso fu inventata la passerella che si addentrava in sala, spesso abbracciando l’intera buca dell’orchestra. I comici del varietà si rivolgevano sempre al pubblico, cercavano il suo appoggio; e dalle reazioni della platea improvvisavano duetti inediti, battute nuove. Questa abitudine ha portato poi i cattivi registi a considerare (vivo e creativo, secondo i loro principi “neo-confusi”) il confronto con gli spettatori anche durante la rappresentazione di spettacoli di prosa. E’ vero che la commedia, specie quella goldoniana, con gli a parte così soventi e sferzanti, offre molti spunti per coinvolgere il pubblico; è vero pure che i sempre più riproposti monologhi sono dati in pasto a una platea che spesso soffoca senza rendersene conto, ma negli ultimi anni attori, mal governati da registi sempre più improvvisati, entrando in scena guardano, chissà perché, spudoratamente dalla parte degli spettatori, e a loro enunciano sconsideratamente le battute, non tenendo più conto né della quarta parete – l’educativa quarta parete, antitesi della telecamera – né del collega a cui un autore ha offerto l’altra metà del dialogo.

09 dicembre 2008

«Concha Bonita» di Arias/Piovani/Cerami

Roma, Ambra Jovinelli
2 febbraio 2005

UN CALCIATORE CHE DECISE DI PASSARE A «VITA MIGLIORE»

Spettacolo che da alcune stagioni è diventato un appuntamento fisso per gli affezionati dell’antico Ambra Jovinelli di Roma. Stavolta, però, la novità: se finora si è recitato in lingua originale (lo spagnolo) adesso è giunta la versione italiana. Ma la primadonna, Alejandra Radano, una giovane bruna, bravissima e molto spigliata, è rimasta sudamericana purosangue e parla un impetuoso italiano tempestato di pampa. Dopo lo spettacolo, nei camerini, l’attrice mi ha confessato di essere venuta a Roma dall’Argentina quando debuttò 4 anni fa sullo stesso palcoscenico e, affascinata dal nostro Paese (non è l’unica ad amarlo; sì, finché non si ha un passaporto italiano, resta una nazione da amare con passione!), qui è rimasta.

Adesso l’accoppiata vincente Piovani-Cerami l’ha praticamente adottata confezionandole una traduzione su misura e regalandole la parte della protagonista, quella che nelle precedenti versioni non aveva. Alejandra ama viaggiare, le piace recitare, ed essa stessa ha deciso di girare il mondo guadagnandosi da vivere con il suo mestiere. Dove andrà, là reciterà… Mah! Evidentemente non ha capito che il mondo assomiglia affatto all’Italia, né l’Italia al mondo. Si scotterà o si bagnerà, chi lo sa… Noi, naturalmente, le auguriamo il meglio.

07 dicembre 2008

LA POESIA: «Navigare»


Roma, 21 agosto 2005

Lasciarsi cullare sull’eco infinita dell’onda: una danza
antica per assaporare il fascino del disagio
come l’appoggio precario della frase d’un adagio
ma anche l’elegante dondolio di una speranza
che brulica tra un ricordo e una fantasia,
il sogno primordiale che avvolge e fugge via

Poesia e foto © Fausto Nicolini


Da «Quelle che smuovono...», Campanotto Editore (2007)

10 novembre 2008

«Filumena Marturano», regia di Francesco Rosi

 Da sin. Antonella Morea, Lina Sastri, Luca De Filippo, Nicola Di Pinto

Roma, Teatro Argentina
9 ottobre 2008

EDUARDO MUMMIFICATO DALLA STATICITÀ IMPOSTA DAL REGISTA

Leggendo la locandina e conoscendo il temperamento dei protagonisti, le attese per questa serata sono tra le più ansiose delle ultime stagioni: Lina Sastri dovrebbe essere per natura Filumena senza nemmeno ricorrere a particolari impegni interpretativi; Luca De Filippo potrebbe essere tranquillamente un Domenico Soriano ancor più in parte di suo padre. Francesco Rosi alla regia offre, sulla carta, una certezza qualitativa. Naturalmente, però, si va a teatro anche per essere contraddetti. Tuttavia, le scene ideate da Enrico Job (scomparso nel marzo scorso), all’apertura del sipario, hanno mostrato l’ampio salone di casa Soriano: una visione, sì, un po’ tetra, ma tipica di certe stanze degli antichi palazzi blasonati. Un affresco di un interno che cela la storia di un passato, che dichiara l’agiatezza di una famiglia un tempo certamente molto più ricca. L’eleganza della camera e la profondità sfruttata per vedere uno spicchio arioso, romantico ma non troppo, della Napoli borghese, di quella ancora con parvenze nobilissime, è stata la prima nota a favore della messa in scena.

09 novembre 2008

Franca Valeri: un’amica d’eccezione

UN PASSATO ENORME, UN FUTURO PIENO DI PROSPETTIVE

Principessa di una indimenticabile Compagnia

Una volta tanto, finalmente, mia moglie viene a prendermi al giornale con qualche minuto d’anticipo e possiamo raggiungere il teatro con andamento più distensivo. Si tratta di una serata speciale: non andiamo a vedere uno spettacolo, ma un’attrice. C’è una certa differenza tra le due cose: quando vai a teatro a vedere una commedia di Shakespeare, per esempio, com’è accaduto la sera precedente, o di Pirandello, vai con una predisposizione interrogativa: ti domandi, come sarà l’allestimento? Quando invece vai a vedere un interprete, sapendo bene chi è, la predisposizione è già sublime, prima ancora di accomodarti in platea. Quando poi vai a vedere Franchina – pardon, Franca Valeri – allora la sublimazione diventa tangibile.

Già l’applauso di sortita non è il solito, quello che accompagna i primi passi del rinomato protagonista che è un bravo attore che merita rispetto e quindi bisogna applaudirlo; no, l’applauso per Franca nasce come un preciso impeto di ringraziamento per quel che è stata e per quel che è. Un mito della scena italiana. Il sipario si apre su «Carnet de notes 2008»; già, perché il primo «Carnet de notes» si ricorda del 1951 quando la Valeri era agli inizi e, dopo aver acquistato notorietà in Italia alla radio, volò a Parigi con un trio anch’esso divenuto storico, chiamato I Gobbi, con Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci; e ogni sera in platea, ad ammirare il loro esilarante repertorio, potevano sedere Sartre con la De Beauvoir, Paul Claudel, o magari Edith Piaf, oppure Jean Renoir con Coco Chanel, non perché quei tre giovani italiani fossero già famosi, ma perché «Carnet de notes» era uno spettacolo che faceva ridere tanto. Rompeva i canoni teatrali di prosa dell’epoca senza trascendere nel varietà o nelle macchiette da café chantat. Era tutto a pezzetti: sketch, battute, gag, ma allo stesso tempo tutto era legato da un filo conduttore intellettuale. L’anno successivo, addirittura, in «Carnet de notes n. 2» Caprioli fece debuttare anche Camilla, la sua cagnetta, inventando un esilarante teatro per cani. Insomma si rideva moltissimo e si ride anche oggi, nonostante il modo di ridere sia molto cambiato. La Signorina snob nacque in quel periodo e sopravvive tenacemente anche al cospetto della nostra disastrosa Seconda Repubblica, con una sola differenza: invece di formare il numero telefonico con il più suadente gesto circolare del dito indice, ora è in preda a una nevrosi da tastiera. L’altra sera in platea, proprio davanti a me, non c’era Sartre e nemmeno Coco, ma una ragazza che alla fine, a luci accese, cercava in fretta di mitigare le lacrime spuntate per quanto aveva riso durante la rappresentazione; e, a sipario ormai chiuso, continuava a ridere. Si è voltata verso di me e mi ha chiesto se sapevo quanti anni avesse la signora Franca Valeri. «E’ del 1920, ma non lo dimostra».

19 ottobre 2008

«Molto rumore per nulla», regia di Gabriele Lavia

Roma, Teatro India, 17 ottobre 2008

MOLTO RUMORE PER... UNA BELLA PROVA

Gabriele Lavia ha dato spirito e corpo alla sua invenzione registica togliendo tutto il superfluo e, avendo tra le mani perfino una buona traduzione – grazie alla moderna scioltezza linguistica di Chiara De Marchi – anche un po’ del necessario: per questo non ha faticato molto a raggiungere le vette dell’empireo, con l’arma della semplicità e con la rapidità dei suoi interpreti pronti a caricarsi (con l’entusiasmo tipico di chi calpesta le tavole del palcoscenico da poco) di più ruoli e di più mansioni. In scena si vede un lungo tavolo per le prove di una commedia e, molto più avanti, in un angolo, due pianoforti; a terra una ventina di tappeti coprono l’ampio praticabile del teatro India. L’atmosfera, suggerita dagli ingombri, ricorda quella dei Sei personaggi… pirandelliani, ma all’improvviso una ventina di giovanotti invadono con enfasi il teatro. E si comincia proprio con gli attori che interpretano se stessi, ma tra loro non sussiste alcuna differenza di classe, né soprattutto di camerino: non arriva in ritardo la Prima attrice con il cagnolino; manca il Primo attore con la sua prosopopea antiquata; non esiste l’Attor giovane, il Generico. Sono tutti giovanissimi (eccetto due, ma presto, grazie alla magia teatrale, non ci si fa più caso, e anche gli anziani diventano agili e freschi upokrités) e tutti gasatissimi di poter iniziare a giocare al teatro sul serio, come insegna la Figliastra. Da quel momento, fino al termine, non c’è un attimo di respiro. Di corsa gli attori raggiungono il proscenio e – proprio come i personaggi pirandelliani – prendono possesso della scena, ma (a differenza di quei sei – più uno) costoro, per farlo, hanno necessità di travestirsi con abiti che ipotizzano un tempo vago, sì, ma assai antico. Con un gran baccano canoro, costruito ad arte, cantando e danzando un leit motiv molto orecchiabile («Non piangete donne belle, né alla luna, né alle stelle. L’uomo è sempre traditore infedele e ingannatore...») che ritornerà più volte, si intravede subito il marchio musicale e festoso dello spettacolo.

09 febbraio 2008

«Lo scrittore», Pulcino Elefante 2008

Versi di Fausto Nicolini
per i tipi di Pulcinoelefante
grafica di Alberto Casiraghy
edizione 7256, aprile 2008
25 copie fatte a mano

*
Ogni giorno, nobilmente sperduto
tra le antiche fantasie di scrittore
lo vedo altero al tavolino di un bar
mentre sorseggia la solitudine
di un caffè... ancora non corretto

«Fenestraria», Signum 2008


8 poesie + 7 disegni
Poesie di Fausto Nicolini
Disegni di Marcello Plebani
(180)
La collana dei numeri
diretta da Claudio Granaroli
Signum, 2008, edizioni d’arte


All’Italia

«Zoppica», le disse l'ortopedico
«È questione di un’errata postura»
Ma leggendo il libro enciclopedico
capì: s’era incrinata la cultura


Pour vous